Che cos'è la paura?
Con questo termine si identificano stati di diversa intensità emotiva che vanno da una polarità fisiologica come il timore, l'apprensione, la preoccupazione, l'inquietudine o l'esitazione, sino
ad una polarità patologica come l'ansia, il terrore, la fobia o il panico.
Il termine paura viene quindi utilizzato per esprimere sia un'emozione attuale che un'emozione prevista nel futuro, oppure, una condizione pervasiva ed imprevista, o un semplice stato di
preoccupazione e di incertezza.
L'esperienza soggettiva, il vissuto fenomenico della paura è rappresentata da un senso di forte spiacevolezza e da un intenso desiderio di sottrarsi nei confronti di un oggetto o situazione
giudicata pericolosa. Altre costanti dell'esperienza della paura, sono la tensione, che può arrivare sino all'immobilità (l'essere paralizzati dalla paura) e la selettività dell'attenzione ad una
ristretta porzione dell'esperienza.
Questa focalizzazione della coscienza non riguarda solo il campo percettivo esterno, ma anche quello interiore dei pensieri, che risultano statici, quasi perseveranti.
La tonalità affettiva predominante nell'insieme risulta essere negativa, pervasa dall'insicurezza e dal desiderio di fuga. Da dove nasce la paura?
Dai risultati di molte ricerche empiriche, si giunge alla conclusione, che, potenzialmente, qualsiasi oggetto, persona o evento, può essere vissuto come pericoloso e quindi indurre un'emozione di paura. La variabilità è assoluta, addirittura, la minaccia può generarsi dall'assenza di un evento atteso e può variare da momento a momento anche per lo stesso individuo. Essenzialmente, la paura può essere di natura innata oppure appresa.
I fattori fondamentali risultano comunque essere, la percezione e la valutazione dello stimolo come pericoloso o meno.
P A U R E
I N N A T
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Originano da:
Esempi di paure tipicamente innate sono: la paura degli estranei, del buio, la paura per certi animali (ragni e serpenti), il terrore alla vista di parti anatomiche umane amputate.
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P A U R E
A P P R E S
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Riguardano una infinita varietà di stimoli che derivano da esperienze dirette e che si sono dimostrate penose e pericolose. Il meccanismo universale responsabile dell'acquisizione di paure apprese viene definito condizionamento, che può trasformare un qualunque stimolo neutro in stimolo fobico, mediante la pura associazione per vicinanza spaziale e temporale ad uno stimolo originariamente fonte di paura. |
❖ Come il corpo manifesta la paura?
La faccia delle paura si manifesta in un modo molto caratteristico: occhi sbarrati, bocca semi aperta, sopracciglia avvicinate, fronte aggrottata.
Questo stato di tensione dei muscoli del viso rappresenta l'espressione della paura che è ben riconoscibile anche in età precoce e nelle diverse culture.
Le alterazioni psicofisiologiche sembrano differenziarsi fra quelle che si associano a stati di paura intensi come il panico e la fobia e, quelle invece concomitanti alla preoccupazione e all'ansia. Precisamente, uno stato di paura acuta ed improvvisa caratteristica del panico e della fobia si accompagna ad una attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, si ha quindi un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, una diminuzione del battito cardiaco, della tensione muscolare, abbondante sudorazione e una dilatazione della pupilla.
Il risultato di tale attivazione è una sorta di paralisi, ossia, l'incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o l'attacco. La funzione di questa staticità indotta dallo stimolo fobico sembra quella di difendere l'individuo dai comportamenti aggressivi d'attacco scatenati dalla fuga e dal movimento. Paradossalmente, in casi estremi, tale reazione parasimpatica può condurre alla morte per collasso cardiocircolatorio.
Stati di paura meno intensi invece attivano il sistema nervoso simpatico, per cui i peli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue e la tensione muscolare ed il battito cardiaco aumentano; il corpo è così pronto all'azione finalizzata all'attacco oppure alla fuga.
❖ Quali sono le funzioni della paura?
Sicuramente, la paura ha una funzione positiva, così come il dolore fisico, di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la mente il corpo alla reazione che si manifesta come comportamento di attacco o di fuga.
Inoltre, in tutte le specie studiate, l'espressione della paura svolge la funzione di avvertire gli altri membri del gruppo circa la presenza di un pericolo e quindi, di richiedere un aiuto e soccorso. Dal punto di vista biologico - evoluzionista sia il vissuto soggettivo, attraverso i processi di memoria e di apprendimento, sia le manifestazioni comportamentali, indifferentemente fuga, paralisi o attacco, che le modificazioni psicofisiologiche (attivazione parasimpatica o attivazione simpatica) tendono verso la conservazione e la sopravvivenza dell'individuo e della specie. Ovviamente, se la paura viene estremizzata e resa eccessivamente intensa, diventando quindi ansia, fobia o panico, perde la funzione fondamentale e si converte in sintomo psicopatologico.
❖ Come guarire dalla paura?
La paura, come abbiamo detto, ha un alto valore funzionale finalizzato alla sopravvivenza.
Per esempio, ricordarsi che quel tipo di animale rappresenta un pericolo perché aggressivo e feroce, oppure velenoso, costituisce un innegabile vantaggio.
Oppure, preparare il proprio corpo ad un furioso attacco o ad una repentina fuga, può, in certi casi, garantire la sopravvivenza. Infine, anche uno stato di paralisi da paura può salvarci dall'attacco di un feroce aggressore che non attende altro che una nostra minima reazione.
Quindi, le cure contro la paura si rivolgono solo a quei casi in cui essa rappresenta uno stato patologico, come ad esempio, attacchi di panico o di ansia di fronte ad uno stimolo assolutamente non pericoloso.
Fondamentalmente 2 sono i tipi di cura contro la paura patologica:
Circa 2 milioni di italiani soffrono di attacchi di panico: una sindrome destinata a diventare uno dei disturbi psichici più diffusi fra la popolazione mondiale. Ma si può guarire.
❖ La bugia del cervello
Perché definisce l’attacco di panico una bugia del cervello?
Perché il problema non c’è, ma in realtà c’è.
E crea quella netta linea di demarcazione e incomprensione tra chi soffre di attacchi di panico e chi non ne soffre. È vero che il pericolo non esiste, ma è altrettanto vero che chi prova un attacco di panico percepisce le stesse terribili sensazioni di chi si trova a combattere nel mezzo di una terribile emergenza.
Il fatto è che tutto ciò non traspare all’esterno, ma purtroppo per il malcapitato è confinato soltanto nella sua mente. È lì che si accende rapidamente il codice rosso, la madre di tutte le emergenze e le paure che non consente di riflettere ma soltanto di agire.
Appare come una bugia perfetta, molto credibile, che lascia ben poco spazio ai dubbi.
Una bugia che vive di trappole e di tranelli molto ben congegnati che farebbero capitolare chiunque, proprio perché assai convincenti.
Ma allora l’attacco di panico è una malattia del cervello?
È una malattia che fa parte dei disturbi di ansia.
Ne conosciamo ormai l’identikit e ha un profilo di sintomi di tutto rispetto.
È difficile non riconoscerla. Come dicevo, negli anni 80 è stata inclusa nel Dsm.
Fino ad allora le definizioni erano molto più vaghe e a volte distorte.
Si parlava di “reazione di allarme”, “reazione di ansia”, “sindrome del cuore irritabile”, ecc.
Ora invece viene riconosciuta come malattia vera e propria come “disturbo da attacco di panico” ( Dap ).
Come si presenta l’attacco di panico e come è riconoscibile la prima volta?
Il primo attacco di panico è un’esperienza sconvolgente.
La partecipazione emotiva con cui lo descrivono i pazienti è quella di “un incontro ravvicinato con un profondo senso di morte”. Alcuni lo descrivono come qualcosa di devastante perché irrompe improvvisamente, “a freddo”, spesso in una situazione di totale benessere, senza alcun tipo di circostanza che possa giustificarne l’insorgenza.
I racconti sono vari. Molti parlano di una crescente difficoltà respiratoria che, progressivamente, porta a un vero e proprio senso di soffocamento.
Il paziente cerca di liberare il respiro con dei colpi di tosse, quasi per eliminare un corpo estraneo che gli impedisce di respirare. Subentra l’idea di essere sul punto di morire, di avere un infarto, a causa dell’accelerazione improvvisa della frequenza cardiaca, con sensazioni di tuffo al cuore, di aritmia. Il battito cardiaco rimbomba in tutto il corpo, tanto che il paziente può contare i propri battiti senza mettere le dita sul polso.
E poi brividi, sudorazione, oppure la sensazione sgradevolissima di qualcosa che nasce in prossimità dello stomaco e che poi velocemente sale verso l’alto.
E, inoltre, un senso di confusione, di stordimento, la sensazione di poter impazzire, di perdere il controllo e il contatto con la realtà. Sono sintomi che durano pochi minuti, anche se il paziente ha una percezione dilatata del tempo, infinita.
La prima cosa che fa, appena è in grado di muoversi è di correre al pronto soccorso a chiedere aiuto. Quello che prova in quel momento è una vera e propria tempesta chimica, biologica, neurovegetativa, che lo porta ad attivare tutti gli organi facendo appello alle sue migliori energie. È consapevole che sta affrontando qualcosa di veramente straordinario, perciò si reca al pronto soccorso, dove però non è infrequente che i suoi sintomi vengano erroneamente ricondotti ad una sindrome ipertensiva o cerebrale.
Perché al pronto soccorso, ancora oggi, non si riconosce un attacco di panico?
Perché si tende spesso a rilevare solo l’aspetto fisico del panico, senza però rendersi conto che l’epicentro di tutti quei sintomi è nel cervello, ed è da lì che bisogna partire immediatamente. È infatti il cervello che scarica la maggior parte di quelle sostanze che poi si abbattono sul nostro organismo. Molto spesso, questa tempesta viene interpretata e archiviata come una semplice crisi ipertensiva o, come una banale tachicardia.
Che cosa succede realmente nella nostra mente?
Abbiamo parlato di una sentinella, l’amigdala.
Perché viene allarmata?
Il primo attacco di panico può insorgere, per esempio, in un soggetto geneticamente predisposto, dopo uno stress prolungato o in seguito alla perdita di una persona cara.
Quel sensore importante nel nostro cervello che è l’amigdala, già allertata per le ragioni sopra citate, interpreta una serie di segnali in maniera anomala.
Ecco così che nasce la “bugia” nel cervello: in quel momento la persona è convinta che stia succedendo qualcosa di straordinario che può mettere a rischio la sua incolumità, la sua vita.
L’amigdala suona l’allarme e comincia a coinvolgere altre regioni del cervello: l’ippocampo, la corteccia prefrontale e la corteccia occipitale, ma anche altre aree vicine, informandole rapidamente che si sta verificando qualcosa di anomalo.
Di anomalo?
Sì, di anomalo, perché qualcosa di strano è accaduto urtando la sensibilità e la suscettibilità, già alte, di alcuni centri nervosi. A questo punto, il cervello lancia un ordine esplicito: “combatti o fuggi perché la tua vita è in pericolo”.
Si assiste a una drammatica conferma del nostro istinto di sopravvivenza che ci fa urlare il desiderio di vivere. In alcuni pazienti e in certi casi si verificano crisi ipertensive accompagnate dall’incremento della frequenza cardiaca; in altri, può esservi un effetto opposto, fino a perdere i sensi. Infatti, a volte, le emozioni sono talmente forti da modificare drasticamente l’afflusso di sangue al cervello, con conseguente transitorio abbassamento della pressione e alterazioni dello stato di coscienza, provocando la sensazione dello svenimento.
Quando durante un attacco di panico si verificano fenomeni neurosensoriali di una certa intensità, può rendersi necessario distinguere questo disturbo da una sindrome comiziale e, in particolare, da un’epilessia del lobo temporale.
Ci sono delle parentele fra gli attacchi di epilessia e gli attacchi di panico?
Dal punto di vista dei sintomi, il Dap e le crisi epilettiche sono facilmente riconoscibili, ed è perciò difficile confonderli. Tuttavia, alcuni disturbi che si presentano durante un attacco di panico possono riscontrarsi anche in qualche forma di epilessia, come quella del lobo temporale. Sono i fenomeni di depersonalizzazione che il paziente vive e riferisce come un’alterata percezione del proprio corpo che gli appare improvvisamente estraneo, irreale, oppure, che vede trasformato in alcune sue parti.
Altre volte può avvertire un forte senso di estraneità verso l’esterno che gli fa apparire la realtà circostante, gli ambienti consueti/familiari come profondamente diversi se non addirittura irreali. Limitatamente a questi sintomi, l’attacco di panico si presenta come una sorta di ponte fra la neurologia e la psichiatria. In questi casi (piuttosto rari) è utile approfondire l’aspetto clinico e quello diagnostico, sottoponendo i pazienti a un elettroencefalogramma che potrà meglio chiarire la natura dei disturbi che vengono riferiti.
Lei ha detto che il primo attacco di panico può arrivare all’improvviso e che chi lo conosce teme di avere un infarto e corre al pronto soccorso. Come mai però, anche dopo averne avuti parecchi, alcuni continuano ad andare al pronto soccorso?
È vero, dall’esperto si arriva dopo un lunghissimo, estenuante e spesso inutile accumulo di esami diagnostici. Anche i medici di base, non riconoscendo subito questo disturbo, tendono a perseverare nel cercare una causa fisica, organica, che possa spiegare la comparsa dei sintomi. Va poi tenuto conto che, culturalmente, il paziente è più propenso ad accettare una malattia che riguarda il resto del corpo piuttosto che il cervello, perché in questo caso dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di avere un problema di natura mentale.
La persona che subisce un attacco di panico ha paura di impazzire.
È una paura fondata?
Assolutamente no. Quello che terrorizza il paziente è che, perdendo il controllo, possa anche perdere il contatto con le persone più care, con i suoi affetti, con l’esterno, con il mondo a lui familiare. È angosciato dall’idea di essere abbandonato, di trovarsi da solo, in balia di quel profondo malessere che lo ha travolto.
Questo stato gli può dare la sensazione di aver sfiorato la pazzia.
Ovviamente, al di là dei fenomeni di depersonalizzazione e di derealizzazione, più riconducibili a crisi di panico con un denominatore psichico e sensoriale, non esiste questo tipo di pericolo.
È mai capitato che una persona abbia avuto un solo attacco di panico?
Per diagnosticare un disturbo da attacchi di panico, sono necessari attacchi che si ripetono nel tempo, con frequenza giornaliera, settimanale o mensile.
Si possono avere anche crisi sporadiche, occasionali, che per la loro intensità sono in grado di cambiare radicalmente la vita di un individuo. E questo perché, anche a distanza di tantissimi anni, ciò che ha provato rimarrà profondamente impresso nella memoria.
Ne sarà molto condizionato ed eviterà tutte le situazioni che anche lontanamente risveglino quel ricordo. Cercherà allora di garantirsi sempre e comunque delle rapide vie di fuga.
Per esempio, se quell’unico attacco di panico lo avrà colpito mentre era in macchina, da quel momento si rifiuterà di guidare da solo, oppure si opterà per mezzi di trasporto alternativi.
C’è una tipologia di individui più vulnerabili agli attacchi di panico?
Le donne sono colpite più degli uomini in un rapporto di 2-3 a 1.
Si va dalla giovane età alla maturità piena, ma non si tratta di parametri rigidi.
Colpiscono anche i bambini?
I bambini possono presentare precocemente segnali che preannunciano l’insorgere degli attacchi di panico. Cambiano improvvisamente carattere, diventando aggressivi e a volte violenti. Si rifiutano ostinatamente di andare a scuola e protestano con forza quando devono separarsi dai genitori. Hanno una riuscita scolastica inspiegabilmente cattiva.
Lamentano spesso la comparsa di invalidanti disturbi fisici che compromettono il rendimento nelle attività sportive, scolastiche e ricreative. Molti di loro si rifiutando di giocare, di andare alle feste, di uscire se non in presenza dei genitori.
Per quanto riguarda i bambini, che cosa si può fare?
Magari il genitore sottovaluta il fatto che il figlio non voglia allontanarsi da lui, né andare a scuola. Come si fa a distinguere un bambino che poi potrà sviluppare crisi di panico da uno solo fragile e ipersensibile?
Bisogna individuare innanzitutto quei fattori che a livello familiare potrebbero, in un bambino predisposto, favorire la precoce comparsa di attacchi di panico: per esempio, le separazioni, i conflitti tra i coniugi, la mancanza di uno dei due genitori, un lutto in famiglia.
Poi è necessario indagare nell’ambito scolastico per verificare se qualcosa nel suo comportamento sta effettivamente mutando e osservare come si pone con i compagni, se partecipa alle attività di gruppo, se è preoccupato, se è soggetto a bruschi cambiamenti di umore. Può essere importante anche la comparsa improvvisa di sintomi come nausea, vertigini, mal di testa, dolori alla pancia, così come la frequenza di bruschi risvegli durante la notte perché in preda all’angoscia di rimanere da solo o di essere abbandonato.
Se poi il bambino ha degli attacchi di panico che si ripetono, sarà utile iniziare una cura con farmaci a bassi dosaggi per controllare le crisi, ma anche garantire un supporto psicologico utile a monitorare il comportamento dei genitori.
Torniamo alle donne.
Su 10 pazienti che vengono da lei quante sono le donne?
I due terzi.
Perché?
Perché la donna è diventata il ganglio terminale di una serie di stress psicosociali che la sollecitano in modo eccessivo. Certamente la maggiore predisposizione genetica e il suo delicato profilo ormonale incidono molto, ma è altrettanto evidente che mai come oggi la donna sia al centro di un delicato equilibrio tra l’ambito lavorativo, familiare e sociale nei quali è impegnata in modo altamente competitivo.
C’è anche da dire che lei stessa pone una maggiore attenzione ai segnali provenienti dal proprio corpo. Questo la spinge più facilmente ad accettare di rivolgersi al medico se preoccupata dal persistere di certi disturbi.
Educata nei secoli a rimanere in casa, la donna è più portata a soffrire di agorafobia (L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto o affollati, temendo di non riuscire a controllare la situazione. Questo lo porta a sentire il bisogno di una via di fuga immediata verso un luogo da lui/lei reputato più sicuro), mentre l’uomo è abituato da sempre a lasciare la tana, per esempio per andare a caccia.
La donna è molto più sensibile ai cambiamenti del suo ruolo sociale, soprattutto nell’ambito familiare. Pensiamo alla sindrome del “nido vuoto”, quando i figli, ormai grandi, diventano autonomi. Una volta indipendenti, si allontanano e, infine, decidono di vivere da soli.
È un momento spesso doloroso per la donna, perché vede drasticamente ridimensionata la sua sfera di influenza in famiglia e si ritrova con una qualità di vita e un livello di gratificazione diminuiti. Quando i figli escono di casa, le donne provano un certo senso di colpa perché temono di non riuscire più a svolgere un ruolo pedagogico ed educativo nei loro riguardi.
È un’emancipazione, quella femminile, pagata a caro prezzo.
Quindi, uscire di casa, abbandonare questo luogo di aggregazione che è la famiglia, può portare la donna a soffrire di disturbi psichici?.
Può essere la vittima di nuove paure nel momento in cui si confronta con un modo di comunicare e competere legato all’apparenza e alla fisicità.
Può sentirsi allora profondamente inadeguata se non riesce a corrispondere a quei modelli estetici che vengono presentati sempre più come l’unico importante biglietto da visita.
Oggi la magrezza è diventata, insieme alla visibilità e alla popolarità, uno dei valori più importanti per la donna. Uno dei disturbi in aumento è quindi la dismorfofobia, come pure l’anoressia e la bulimia, legate all’ossessione dell’immagine.
Un fenomeno dilagante anche tra gli uomini, che appaiono sempre più attratti dal mito della bellezza. Sono infatti, sempre di più gli uomini che, inseguendo il sogno di avere un corpo perfetto, si affidano ai bisturi. Si controllano spesso allo specchio per osservare la forma del naso, degli occhi e i lineamenti del volto. Arrivano a spendere somme consistenti per creme e massaggi e sono dominati dall’idea di essere fisicamente irresistibili.
Abbiamo detto, che il primo attacco di panico arriva all’improvviso, ma, per quanto riguarda i successivi, che cosa percepisce la persona che ne soffre?
L’attacco di panico si manifesta quasi sempre con le stesse modalità.
E questo in parte rassicura il paziente perché l’ha già vissuto in passato.
Però, alcune volte, può, in maniera più subdola, presentarsi con sintomi inconsueti, diversi.
A quel punto, il paziente terrorizzato si sente in pericolo, corre al pronto soccorso perché convinto che qualcosa di nuovo stia per accadere.
Facciamo degli esempi?
Le prime volte possono esseri dei sintomi respiratori, che danno la drammatica idea di essere sul punto di soffocare. Altre volte l’attacco può manifestarsi con un senso di pressione a livello toracico, accompagnato da fitte e da un forte e improvviso dolore nel braccio che fanno subito pensare ad un infarto.
Oppure, un’angosciante e persistente sensazione di “anestesia” alle braccia o alle gambe, che fa pensare a una “paralisi muscolare” diffusa.
In alcuni casi, le prime avvisaglie possono essere piuttosto sfumate, un senso di distacco, di estraneità verso l’esterno. La persona sente che qualcosa nella sua percezione è profondamente cambiata al punto che è convinta di “non esistere più”.
Tutto è falsato, più ovattato e poi all’improvviso c’è una straordinaria accelerazione del pensiero. E allora i suoni, le voci, i colori, la luce diventano ostili, insopportabili.
Si instaura una relazione drammatica tra sé e sé, dove tutto viene ascoltato, monitorato, percepito e seguito in maniera ossessiva fino a che poi il paziente non sopporta più queste sensazioni e chiede aiuto perché è certo di essere sul punto di impazzire.
Piange, si dispera e si aggrappa a chi in quel momento si trova vicino a lui.
Chi subisce l’attacco di panico spesso si vergogna delle proprie paure e a volte, decide di ritirarsi da tutte le occasioni sociali. Teme molto il giudizio degli altri, ma anche di non essere compreso o di trovarsi in situazioni da cui può risultare difficile sfuggire.
E quanto dura un attacco di panico?
Ha una durata standard o dipende da persona a persona?
L’attacco di panico può durare da pochi minuti fino a un massimo di venti minuti, mezz’ora.
Ma le sensazioni sono talmente intense che il paziente ha la certezza di aver vissuto un’angoscia lunghissima della quale non riusciva a vedere la fine.
Quindi finisce così all’improvviso come è iniziato?
Il cuore riprende a battere normalmente, si ricomincia a respirare…
Esaurita la fase acuta, subentra la “fase post-critica”.
Il paziente appare ancora profondamente provato, esausto.
Entra in uno stato di prostrazione e di astenia fisica protratta, perché la crisi appena trascorsa ha sollecitato in modo intenso tutto il suo corpo.
E questo ci fa capire quanto la dimensione fisica partecipi, durante l’attacco di panico, quanto il cervello coinvolga ogni parte del corpo. La persona sente un forte bisogno di dormire, di recuperare forze ed energie perdute. Ma al risveglio riaffiora quella sensazione angosciante di insicurezza e di precarietà riguardo la propria vita e il proprio futuro.
Così compare anche la “fobofobia”, la paura di avere paura.
Chi soffre di attacchi di panico può arrivare fino al punto di non uscire più di casa?
Si arriva a sterilizzare in maniera ossessiva la propria vita.
Anche delle nuove amicizie o degli amici troppo propositivi diventano improvvisamente “pericolosi” perché possono contribuire a sconvolgere quell’agenda quotidiana che chi soffre di panico ha determinato in modo rigido e rigoroso per garantirsi la sicurezza e il controllo totale. Questo vale anche per un nuovo amore, una nuova amicizia, un viaggio…
Ecco allora che entra in campo l’immaginazione, che è potentissima nelle persone che soffrono di crisi di panico. L’immaginazione ti fa ipotizzare tutto ciò che potrebbe ancora accadere con un miglioramento professionale: già mi vedo nella riunione, vedo gli sguardi giudicanti delle persone, sento di arrossire, le gambe tremano…
È una “fiction esistenziale” costante, perché la vita di queste persone è pianificata in modo ossessivo. Prevalgono l’analisi e il monitoraggio continuo che porta a un’interpretazione di tutto quello che accade all’interno e all’esterno della propria vita.
L’obiettivo primario di queste persone è sempre quello di prevedere e anticipare tutto ciò che può essere potenzialmente pericoloso per loro.
Tendono a simulare e a immaginare circostanze catastrofiche che le riguardano.
Se sono costretti a recarsi in un luogo diverso dalla propria città, che è già stata preventivamente mappata, alcuni pazienti fanno fare dei sopralluoghi preventivi a qualcuno fino a quando, dopo aver a lungo esitato, decidono e partono.
Cercano delle garanzie?
Sì, ma non sono mai sufficienti per loro.
Si informano se in quel luogo c’è un presidio ospedaliero, un servizio di pronto soccorso, se ci sono dei bravi dottori. Prima di partire cercano di ottenere dei numeri telefonici a cui poter ricorrere nell’eventualità di una qualunque emergenza o di un attacco di panico.
Sono straordinari strateghi nel pensare e nel prevenire tutto quanto potrebbe verificarsi per non trovarsi impreparati ad affrontare un eventuale pericolo.
Notando che molte persone hanno una forte paura del buio, ONLINE CLOCK.NET ha deciso di esplorare l'argomento facendo ricerca. A ricerca finita, abbiamo trasformato il risultato in "Infografica" che è l'informazione proiettata in forma più grafica e visuale che testuale, qui sotto il risultato di questo lavoro e sotto la traduzione.
Traduzione
❖ Perché abbiamo paura del buio?
Quando una paura normale diventa intensa, persistente e irrazionale, si sviluppa in una fobia.
Acluofobia e Nictofobia sono due termini usati per descrivere una fobia del buio o della notte.
❖ Origini
Alcuni esperti ritengono che la paura del buio è geneticamente codificata negli esseri umani: i nostri antenati avevano semplicemente paura di essere mangiati dai predatori notturni.
Mentre i sensi di altre creature notturne si sono evoluti nel tempo per compensare la mancanza di luce, gli esseri umani sono rimasti relativamente impotenti nel buio.
Gli esseri umani sono rimasti relativamente indifesi nell'oscurità.
In uno studio di attacchi da parte di leone su 474 esseri umani in Tanzania 1988-2009
❖ La paura delle tenebre per bambini
La paura del buio è una delle paure più comuni tra i bambini.
La paura del buio è più diffusa nei bambini tra i 4 e i 6 anni.
E diminuisce nella maggior parte dei bambini dopo 9 anni.
Sigmund Freud, credeva che la nostra paura del buio fosse legata all'ansia da separazione e l'assenza delle nostre madri. Egli scrisse: " il desiderio provato nel buio si
converte in paura nel buio."
A 102 bambini tra gli 8 e i 12 anni è stato chiesto di elencare quello che temono.
I bambini hanno menzionato un totale di 49 situazioni o stimoli diversi.
"Il buio" è stato il 3° più elencato, con 17 bambini (16,7%), citando come qualcosa che temevano.
❖ Non solo i bambini ne hanno paura
Per alcuni, la paura del buio persiste in età adulta.
Nel 2001, un sondaggio Gallup ha rilevato:
Un recente studio di 93 studenti universitari suggerisce che la percentuale potrebbe essere addirittura superiore. Molti adulti che soffrono d'insonnia possono avere paura del buio.
Di quelli che hanno riportato la paura del buio, il 46% erano pessimi dormiglioni e solo il 26% erano buoni dormiglioni.
I ricercatori hanno creato un test oggettivo per verificare le risposte.
I partecipanti hanno ascoltato esplosioni di rumore attraverso le cuffie, in una camera da letto con le luci accese e poi con le luci spente. Quelli con meno sonno erano più spaventati dai rumori
e queste reazioni sono state accentuate quando le luci erano spente.
❖ Le conseguenze del buio
Studi hanno dimostrato che l'oscurità è un bene per noi e non abbracciarla potrebbe effettivamente essere dannoso. L'esposizione prolungata alla luce prima di andare a letto sopprime la
liberazione dell'ormone melatonina-sonno e può aumentare il rischio di disturbi dell'umore, disturbi del sonno e l'obesità.
❖ La paura è giustificata dalle statistiche del crimine?
E' naturale sentirsi vulnerabile al buio, ma si dovrebbe essere più preoccupati di essere vittime di un crimine violento dopo il tramonto?
Il Dipartimento della National Crime Survey vittimizzazione di Giustizia degli Stati Uniti conserva i dati sui crimini violenti (stupro, violenza sessuale, aggressione semplice e aggravata,
rapina) e il tempo di insorgenza, come riportato dalle vittime.
Le statistiche analizzate comprendono: i reati di violenza (tentata e completata), violenza completata (effetti negativi sulle vittime) e tentativo di violenza (tentata ma non completata).
Anche se molte persone hanno paura del buio, le statistiche criminali non mostrano chiaramente che questa paura è giustificata.
❖ Trattamento
Una forma efficace di trattamento per le fobie è la terapia cognitiva-comportamentale.
Un terapeuta esperto aiuta a confrontarsi con l'oggetto temuto o situazione, in questo caso, il buio, in modo graduale e metodico, fino a quando la paura è ridotta o conquistata.
Se si soffre di una paura del buio, rivolgetevi al medico per chiedere aiuto.
Fonte