I primi avvistamenti del fenomeno luminoso di Hessdalen risalgono ai primi anni '80.
Nel 1984 dal gruppo norvegese denominato Progetto Hessdalen, venne intrapresa una massiccia campagna osservativa per tentare di effettuare misurazioni del fenomeno.
Dal 1998 è operativa una stazione osservativa automatica che permette di acquisire istante per istante dati video del fenomeno luminoso. Nell'ambito di un importante congresso sulla fisica dei fulmini globulari tenutosi a Hessdalen nel 1994, nacque una proficua collaborazione con ricercatori italiani, tuttora in corso.
Questa collaborazione ha dato luogo prima a numerosi incontri preliminari e poi all’effettuazione di 3 missioni in area nell’ambito del Progetto EMBLA.
In questo articolo si presentano i risultati raggiunti da questa ricerca italo-norvegese, in particolare, il contributo italiano per quello che riguarda gli aspetti di fisica e, si delineano i problemi aperti di questa importante ricerca.
Le “luci di Hessdalen”, avvistate nella omonima valle norvegese, rappresentano il prototipo dei fenomeni luminosi anomali in atmosfera.
Esse consistono in genere di palle di luce multiformi e multicolori, caratterizzate da una lunga durata e talvolta da enormi emissioni di energia.
Hanno dimensioni oscillanti da mezzo metro a 30 metri.
Le caratteristiche accertate di ricorrenza rendono questo tipo di evento fisico molto adatto per campagne sistematiche di misurazione. Nel 1984 il gruppo norvegese Project Hessdalen guidato dall’ingegnere Erling Strand dimostrò per la prima volta che il fenomeno era misurabile e che, in particolare, gli eventi luminosi erano nettamente correlati con perturbazioni magnetiche producendo una forte traccia radar e talora emissioni improvvise e di breve durata nelle onde radio corte (HF).
Si discusse dell’argomento nel 1994 ad un congresso internazionale di fisica, presente il Nobel per la fisica Boris Smirnov, dove si giunse alla corale conclusione che il fenomeno meritava un’attenta analisi secondo il protocollo delle scienze fisiche.
E infatti, gli sviluppi osservativi di questa ricerca si sono rapidamente evoluti.
I dati acquisiti dal Project Hessdalen nel 1984 furono rianalizzati subito dopo il congresso, cosa che permise di confermare il quadro dedotto dai norvegesi; nell’ambito di questa analisi a
posteriori si rilevò anche che esisteva una non trascurabile correlazione tra alcuni parametri del fenomeno e l’attività solare giornaliera.
Ciò portò a ritenere che l’attività solare con le sue particelle ad alta energia che collidono con l’atmosfera terrestre potesse essere una possibile causa di innesco del fenomeno, tuttavia, si rilevò anche che molte altre caratteristiche del fenomeno non potevano essere agevolmente spiegate in questa maniera.
Una possibile correlazione tra il fenomeno e l’attività solare mensile e annuale è stata recentemente esclusa, almeno, tenendo in considerazione il numero di macchie solari come parametro. Dal 1998, su iniziativa di Erling Strand e Bjorn Gide Hauge, professori assistenti all’Ostfold College di Sarpsborg è operativo a Hessdalen un vero e proprio osservatorio (AMS) attrezzato di videocamere automatiche che monitorano il fenomeno in tempo reale coadiuvate da un radar e da un magnetometro.
Nell’arco di 4 anni l’osservatorio ha consentito di costruire una statistica attendibile sul fenomeno: esso tende ad apparire con picchi nel periodo invernale, si presenta maggiormente nella fascia oraria che va dalle 22 alle 01, ma appare ovunque in cielo e in terra non seguendo aerovie preferenziali.
Nell’Agosto 2000 ha avuto luogo la prima missione italiana a Hessdalen, unitamente ai ricercatori norvegesi. La spedizione sanciva l’inizio del Progetto EMBLA, le cui fondamenta venivano poste fin dal 1995 come collaborazione congiunta tra il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e il CIPH (Comitato Italiano per il Progetto Hessdalen).
La missione EMBLA 2000 era prevalentemente dedicata all’acquisizione di dati nelle onde radio lunghe (VLF) utilizzando un sofisticato spettrometro messo a punto dai tecnici del CNR del Radiotelescopio di Medicina (BO). L’analisi dei dati, acquisiti in grande quantità, mostrava la presenza nella valle di segnali altamente anomali: tra questi, segnali pulsanti e segnali doppler. In particolare, l’effetto doppler permetteva di misurare velocità fino a 100.000 km/set, dato questo che ha portato inizialmente a ritenere che le luci di Hessdalen siano sfere di plasma rotanti, non sempre visibili otticamente, in grado di accelerare particelle relativistiche tramite fortissimi campi magnetici canalizzati.
Nell’Agosto 2001 ha luogo la missione EMBLA 2001, questa volta interamente finanziata dal CIPH e prevalentemente dedicata all’analisi ottica del fenomeno luminoso in quanto tale.
Questa spedizione è stata realizzata effettuando investigazioni direttamente sul campo utilizzando strumenti sofisticati come piccoli telescopi, sensori CCD, una sofisticata videocamera e uno spettrografo a bassa risoluzione, cosa che ha permesso di mettere in pratica tecniche fotometriche e spettroscopiche.
Anche le convenzionali macchine fotografiche hanno permesso di impressionare con efficacia i fenomeni luminosi. EMBLA 2002, la missione effettuata nell’Agosto 2002 finanziata sia dal CIPH che dalla industria SACMI di Imola, oltre che un numero notevole di nuove immagini fotografiche e video, ha permesso in particolare di perfezionare i dati spettroscopici acquisiti lo scorso anno e di spiegare alcuni fondamentali aspetti fisici riguardanti la natura del fenomeno luminoso in quanto tale, confermando in parte alcuni risultati emersi nel corso della precedente missione.
La raccolta di campioni di polvere leggermente radioattiva ha per la prima volta permesso di studiare le caratteristiche del terreno approcciato dal fenomeno luminoso.
Le luci di Hessdalen galleria fotografica:
❖ Quadro fenomenologico
I risultati che sono emersi dalla analisi dei dati acquisiti nel corso delle 3 missioni EMBLA congiuntamente a una rianalisi italiana dei dati acquisiti dal gruppo norvegese nel 1984 e dal
loro osservatorio automatico (AMS) nel periodo 1998-2002, portano tuttora al seguente quadro per punti:
Sulla base dell’analisi della distribuzione tridimensionale della luce (PSF) ricavata dalle immagini utilizzando un apposito software e l’analisi spettroscopica, si evince, che la luminosità prodotta dal fenomeno è probabilmente di natura termica, ovvero, causata da una sostanza riscaldata. Ciononostante, non si tratta di un “plasma” in senso classico (ioni ed elettroni liberi), ma di una sostanza che simula un corpo solido uniformemente illuminato. La PSF a volte è molto simile a quella di un plasma (con profilo tipicamente esponenziale), ma si è recentemente scoperto che ciò è un “effetto di simulazione” prodotto dall’atmosfera nei momenti in cui essa è poco trasparente.
Quando l’atmosfera è trasparente, si è potuto definitivamente assodare che il profilo della PSF è nettamente rettilineo e ripido, indice questo, di un qualche tipo di corpo solido illuminato. L’unico fenomeno in natura che potrebbe (almeno in alcuni aspetti) produrre un comportamento del genere è una sfera riscaldata costituita da piccole particelle concatenate di silicio estratte dal terreno in seguito a forti scariche elettriche.
II modello è dovuto allo scienziato neozelandese Abrabamson per spiegare certi aspetti della fenomenologia dei fulmini globulari. Nel contesto specifico di Hessdalen, una fenomenologia del genere potrebbe avvenire proprio a causa dell’enorme abbondanza di rame e quarzo nel sottosuolo e, per il fatto che a volte i fenomeni di luce avvengono molto vicini al suolo. Il quarzo sottoposto a pressione tettonica genera la cosiddetta Piezoelettricità mentre il rame la conduce efficientemente.
Ne conseguirebbe la formazione di una palla di luce costituita da un “aerogel” di nanoparticelle di silicio (e forse anche ferro) concatenate, riscaldate e in moto vorticoso.
Nel caso specifico di Hessdalen, si tratta comunque di una sostanza con caratteristiche nettamente “non termodinamiche”, nel senso, che non va soggetta a raffreddamento (t) ad espansione come ci si aspetterebbe da un gas caldissimo di ioni ed elettroni (un classico plasma). Le palle di luce tendono ad aumentare di dimensioni, anche in tempi brevissimi, ma, se si trattasse di un plasma (I) (palle di luce si raffredderebbero e il loro colore passerebbe dal blu al rosso). Ciò non avviene nel caso delle luci di Hessdalen.
Tra l’altro è stata rilevata una correlazione Dimensioni-Luminosità, che mostra come all’aumentare delle dimensioni del corpo luminoso la luminosità non diminuisce come ci si aspetterebbe da un plasma in rapido raffreddamento, ma, aumenta linearmente.
Infatti, molto spesso, si registra la coesistenza di palle di luce multicolori (più spesso bianche e rosse) esattamente della stessa dimensione.
La “nontermodinamicità” delle palle di luce si manifesta in un misterioso meccanismo autoregolante che determina una costanza della temperatura per una data fissata palla di luce: la costanza della temperatura viene rilevata dagli spettri, i cui picchi non cambiano né in ampiezza né in lunghezza d’onda quando la palla luminosa passa da un massimo ad un minimo di luce. Il meccanismo autoregolante di cui sopra si può spiegare in 2 modi:
A) la presenza di una “forza centrale” di natura elettrostatica o gravitazionale che tiene assieme la sostanza riscaldandola che amplifica i campi magnetici che sono normalmente congelati nella materia, i quali, a loro volta, funzionerebbero come una gabbia di contenimento.
B) l’esistenza di un reale corpo solido illuminato da una qualche sorgente di luce, che si accenderebbe e si spegnerebbe come un interruttore.
II fenomeno è fortemente variabile in luminosità su una scala di tempo inferiore al secondo.
Una legge dice che l’aumento di luminosità di un corpo che brilla a causa di effetti di riscaldamento dipende dalla quarta potenza della temperatura e dalla seconda potenza del raggio della superficie emittente. Nel caso delle luci di Hessdalen, dove si è assodata la costanza della temperatura, l’aumento di luminosità è dovuto esclusivamente all’aumento del raggio. Ciò avviene improvvisamente ed è dovuto non all’espansione delle sfere luminose, ma all’improvvisa apparizione di un grappolo di luci attorno ad una luce centrale (che si comporta apparentemente come un “seme”).
Il grappolo di luci visto da lontano appare come un disco di luce non risolto, ma visto da vicino mostra tutte le sue caratteristiche di molteplicità.
L'alternarsi di improvvisi aumenti e diminuzioni del numero delle luci che compongono il grappolo è la causa che determina la drastica variabilità luminosa del fenomeno nel suo complesso. Ciò avviene in maniera semi-regolare.
All’inizio il fenomeno si accende e si spegne dando l’impressione di una pulsazione regolare, poi si stabilizza su una luminosità di regime.
Ciò può durare molti minuti, dopodiché, il fenomeno si spegne di colpo, come se fosse stato attivato un interruttore. Nuovi cicli a distanza ravvicinata di tempo possono andare avanti per diverse decine di minuti, a volte fino a 2 ore.
In molti casi, il fenomeno tende ad espellere corpi sferici secondari e ciò può avvenire nell’arco di un secondo o meno. Talora, i corpi secondari tendono a loro volta ad essere attorniati da luci secondarie che formano un nuovo grappolo.
Il meccanismo ricorda in alcuni aspetti la moltiplicazione cellulare, se non, che tende ad estinguersi in tempi più o meno brevi (1 – 30 minuti, tipicamente).
Le luci di Hessdalen si muovono a scatti sia a bassissima quota che verso il cielo, non in maniera continua. Ciò determina una “traiettoria a scatti”, come appare in lunghe pose fotografiche.
Talvolta le luci di Hessdalen tendono ad assumere forme geometriche e/o simmetriche.
Ciò avviene in 2 modi:
A) le palle di luce si uniscono come a formare un disegno, spesso triangolare.
B) A volte le palle di luce stesse tendono ad assumere forme geometriche, spesso rettangolari e triangolari. Ciò avviene soprattutto quando la luminosità è relativamente bassa.
Si rilevano anche forme ellittiche.
Il disegno geometrico e/o simmetrico tende a svanire nell’arco di pochi minuti.
La valle di Hessdalen sembra essere completamente elettrificata.
Ovunque appaiono in cielo e in terra Flash luminosissimi e della durata di una frazione di secondo. I Flash hanno l’apparenza prevalentemente globulare.
Alcuni di questi sono stati fotografati utilizzando pose molto lunghe.
La presenza di cave di rame a Hessdalen fa ritenere che queste possano contribuire a rendere più efficiente la conduzione di elettricità, di fenomeni che potrebbero essere o di origine terrestre (piezo-elettricità) o di origine cosmica.
Il fenomeno luminoso può raggiungere potenze luminose fino a 100 kW.
Esse possono essere mantenute per diversi secondi nelle fasi di massimo della luminosità.
Massimi con tale potenza possono ripetersi nell’arco di un’ora o più.
II fenomeno luminoso è associato a segnali radio a bassa frequenza (VLF) con caratteristiche Doppler, con profili – ora verso frequenze inferiori (red-shift) ora verso frequenze maggiori (blue-shift) e con velocità oscillante tra 10.000 e 100.000 Km/sec.
Ciò potrebbe essere dovuto all’espulsione di particelle elementari (come elettroni e/o protoni) a velocità semi-relativistica. Il canale di espulsione sarebbe l’asse magnetico di una sfera fortemente rotante il cui asse di rotazione è disallineato rispetto all’asse magnetico.
Quando il fenomeno approccia il terreno, in seguito ad analisi di spettrometria a plasma e di microscopia elettronica (si ringrazia la SACMI Imola per aver messo a disposizione i propri
laboratori di analisi) esso sembra rilasciare sferule di ferro del diametro di 20 micron che si depositano su una polvere dalle caratteristiche leggermente radioattive.
Questi i risultati essenziali che emergono dagli studi effettuati dall’autore nell’arco di circa 10 anni. In particolare, gli studi e le misure effettuate nel corso delle missioni EMBLA sono
state in grado di definire con sufficiente precisione la “zoologia fisica” che caratterizza le manifestazioni del fenomeno luminoso a Hessdalen e hanno aperto la strada ad alcune ipotesi che però
al momento non possono ancora essere confermate.
❖ Problemi aperti e conclusioni
Esistono diversi modelli fisici invocati per spiegar il fenomeno.
Piezoelettricità, Monopoli Magnetici, Mini Buchi-Neri, Attività Solare e Raggi Cosmici, Elettricità Atmosferica, Fluttuazioni Quantistiche del Vuoto.
Nessuno di questi modelli è comunque in grado di spiegare in maniera completa e univoca le caratteristiche empiricamente riscontrate nel fenomeno.
Probabilmente, il modello che si avvicina di più alla realtà è quello proposto da Abrahamson che può essere considerato una variante dei modelli sui “fulmini globulari” e che può ricollegarsi in
parte alla teoria della Piezoelettricità.
I principali problemi aperti possono essere così sintetizzati:
Un dato è certo: se di fenomeno naturale si tratta, c’è da pensare che l’intelligenza della natura sia così efficiente da surclassare tutti i tentativi dell’uomo d'imbrigliare e contenere la fusione nucleare in reattori del tipo del Tokamak.
Per questa ragione, la piena comprensione dei meccanismi fisici che stanno alla base della super-forza che anima le luci di Hessdalen, potrebbe presto fornire all’umanità una nuova sorgente di energia di straordinaria potenza.
Ci sono valide ragioni di ritenere che la spettroscopia ottica ad altissima risoluzione, tuttora in programma per missioni nell’immediato futuro con strumenti già disponibili, possa dare una risposta decisiva e risolutiva a molti dei quesiti tuttora aperti.
di Massimo Teodorani