Marinaio in servizio sulla nave SS Furuseth, nel 1943.
Allende si autodefinì testimone oculare di un test, condotto in mare, nel quale una nave venne resa otticamente invisibile mediante l'uso di un campo elettromagnetico e fornì dettagli su un altro esperimento fallito, con gravissime conseguenze per l'equipaggio.
Alcuni degli occupanti presero fuoco "spontaneamente", mentre altri furono ritrovati con il corpo pressoché "fuso" a metà con la struttura della nave.
Nel 1955 Allende scrisse una serie di lettere indirizzate al ricercatore Morris K. Jessup - autore del libro "The Case for the UFO" - nelle quali esprimeva il timore che la stessa tecnologia usata nell'esperimento cui ebbe modo di assistere, potesse venire usata dagli UFO come mezzo di propulsione.
Il tono delle missive, contenenti una lunga serie di riferimenti criptati, era tale che Allende venne considerato inizialmente uno "squilibrato".
L'opinione di Jessup cambiò quando fu contattato dal Capitano Sidney Sherby e dal Comandante George Hoover (ufficiali dell'Ufficio di Ricerca Navale) i quali avevano ricevuto il libro di Jessup che riportava, fra l'altro, alcune annotazioni su strani fenomeni di sparizione, alieni e anomalie varie.
I 2 ufficiali chiesero a Jessup di recarsi a Washington D.C. per incontrarli e discutere di quelle note. Jessup si stupì del fatto che gli ufficiali fossero tanto interessati agli scritti di Allende, in particolare, della parte che riguardava una nave resa invisibile e delle pesanti conseguenze sulle salute dei suoi uomini.
Jessup confidò all'amico Ivan Sanderson di aver avuto l'impressione che i militari fossero intenzionati a tentare di nuovo l'esperimento.
Da quel momento in poi, la vita di Jessup non fu più la stessa, fino al 1959, quando fu trovato morto nella sua auto, apparentemente suicida, avvelenato da monossido di carbonio. Questa diagnosi fu avanzata senza l'aiuto di alcun referto autoptico.
Sono in molti invece a credere che Jessup sia stato eliminato.
Parere condiviso dallo stesso Allende, costretto a vagare per il paese per sfuggire alla stessa sorte. L'Ufficio delle Ricerche Navali fu tempestato per diverso tempo da richieste di informazioni sull'esperimento Philadelphia.
La risposta fornita venne descritta in un documento che presentiamo nella sezione Diritto di sapere. Fino al 1996, con l'opinione pubblica che incalzava, la Marina militare forniva spiegazioni semplici, ma quanto poco credibili, riguardo la parola "invisibile".
La versione ufficiale interpretava la frase come rendere la nave invisibile alle mine nemiche.
A sostenere l'ipotesi c'era John Reilly, ufficiale molto rappresentativo, per il quale non si verificò alcun esperimento di utilizzazione dei campi magnetici su una nave militare.
Il ricercatore Robert Goerman dichiarò in un'intervista di aver risolto il mistero dell'esperimento Philadelphia grazie ad una scoperta su Carlos Allende.
Quando, nel 1979, uscì il libro "The Philadelphia Experiment: Project Invisibility" di William Moore e Charles Berlitz, Goerman si mise al lavoro per indagare non su quello che il libro affermava, ma su Allende. In questo fu avvantaggiato perché i suoi genitori erano vicini di casa dei genitori di Allende. Goerman scoprì che il vero nome di Allende era Carl Meredith Allen, che non godeva di buona reputazione e che chi lo conosceva lo considerava persona dal grande potenziale intellettuale, ma che peccava in disciplina.
Goerman scrisse un articolo "Alias: Carlos Allende" pubblicato sulla rivista Fate, che non venne preso positivamente dalla comunità ufologica poiché si accusava Allende (o Allen) senza aver analizzato nel dettaglio tutte le fonti disponibili.
A questo punto entra in scena Marshall Barnes, investigatore civile esperto del "Philadelphia Experiment". Barnes sosteneva che un campo magnetico di adeguate caratteristiche poteva creare un miraggio, un effetto simulato di un evento mai accaduto.
Voleva quindi dimostrare che era possibile creare l'immagine di una falsa trasparenza di un oggetto grazie alle tesi che il Dr. Rinehart (il nome è fittizio) fornì a William Moore.
Nell'intervista rilasciata a Moore, Rinehart riferì di essere stato uno degli scienziati che partecipò agli studi sull'esperimento Philadelphia. Marshall Barnes esaminò ogni più piccolo dettaglio a riguardo. Il nodo della questione era relativo all'uso di un intenso campo elettromagnetico sull'ambiente circostante, che avrebbe creato, riflettendo la luce solare, l'effetto della trasparenza. Barnes trovò in una plastica speciale chiamata "pellicola di diffrazione" il materiale idoneo all'esperimento e, con suo enorme stupore, si rese conto che era veramente possibile. Corroborando le tesi di Rinehart, incluse anche una fotografia presa dai laboratori Sandia, che mostrava un acceleratore di particelle che riproduceva gli effetti descritti da Rinehart, ossia, una distorsione nel punto in cui il campo elettromagnetico toccava la superficie dell'acqua. Marshall Barnes non ebbe certo vita facile, fu accusato e etichettato come impostore e le sue ricerche vennero screditate.
Recentemente, con la comparsa del Colonnello Philip J. Corso sulla scena ufologica mondiale, si sono appresi nuovi e inquietanti particolari su tutta la vicenda.
Corso, godendo di una posizione altamente privilegiata all'interno dell'Intelligence militare statunitense già negli anni Quaranta, disponeva di informazioni che in parte contrastavano con quanto rivelato fino ad ora. Vale a dire, che (come confermato in un documento ufficiale della Marina degli Stati Uniti) a prendere parte all'esperimento non fu il cacciatorpediniere Eldridge, bensì, il dragamine IX97.
Infatti, all'epoca dei fatti, il diario di bordo della Eldridge riporta che la nave non si recò mai a Philadelphia, indicando che il cacciatorpediniere rimase a New York fino al 16 Settembre 1943, per poi dirigersi verso Bermuda, ove attraccò fino al 15 Ottobre e ritornando a New York il 18 Ottobre. Il primo Novembre salpò di nuovo per scortare il cacciatorpediniere UGS-23, fino a Norfolk, navigando insieme il giorno dopo per Casablanca, dove giunsero il 22 Novembre. Una settimana dopo, la Eldrigde scortò il convoglio GUS-22 fino a New York, dove arrivò il 17 Dicembre, per poi salpare di nuovo verso Black Island, dove rimase fino al 31 Dicembre. Nel documento, recuperato presso il Centro Navale storico (Naval Historical Center), si smentisce in maniera piuttosto categorica che l'esperimento sia mai avvenuto.
I membri dell'equipaggio della Furuseth non ebbero modo, secondo il testo, di essere testimoni dei fatti, non trovandosi in quel momento a Philadelphia.
Si fa menzione, inoltre, delle teorie di Einstein (che avrebbero invece reso possibile l'esperimento) come incomplete e di conseguenza inutilizzabili, aggiungendo anche che Einstein all'epoca era consulente presso il "Bureau of Ordinance" della Marina, ma che non aveva alcun interesse a sviluppare progetti inerenti l'invisibilità.
Il documento si conclude affermando che dopo numerosi anni di ricerca non sono state reperite le prove per avallare l'ipotesi che un esperimento volto a rendere invisibile all'occhio umano una nave da combattimento sia mai stato compiuto.
Ciò che successe alla IX97 durante l'esperimento è un mistero e possiamo solo formulare delle ipotesi riguardo gli attimi immediatamente precedenti e successivi all'azionamento del campo magnetico. Sembra che il dragamine IX97 fu teletrasportato grazie ad un campo magnetico rotante che avrebbe creato una sorta di spazio separato dallo spazio universale, creando una dimensione parallela attorno alla nave.
Apparentemente, ciò che accadde riguarda la materia, contenuta in questa dimensione parallela, che tornò indietro nel tempo di 2 settimane, al tempo in cui la nave era fisicamente ormeggiata a Norfolk. L'effetto di teletrasporto sarebbe stato ovviamente frutto di un'errata valutazione da parte degli scienziati che progettarono l'esperimento.
L'energia utilizzata era infatti notevolmente maggiore rispetto a quella di cui si necessitava.
Forse si temeva un fallimento con conseguente soppressione dell'esperimento, o forse si voleva che i risultati fossero davvero esaustivi e che permettessero un'analisi con margini d'errore molto limitati. Lo scopo dell'esperimento non era solo quello di rendere invisibile la nave, ma anche di spostarla, magari solo di qualche chilometro, per poter controllare i risultati. Purtroppo le cose non andarono come previsto.
La struttura fisica della nave fu gravemente compromessa e ai membri dell'equipaggio fu riservato lo stesso trattamento. Fenomeni di smaterializzazione, autocombustione, fusione con la struttura della nave, passaggio attraverso i muri, furono le conseguenze di un atto sciagurato come quello appena compiuto.
Dalle testimonianze raccolte negli anni e grazie all'aiuto del Colonnello Philip Corso è stato possibile accertare (escludendo ogni ragionevole dubbio) che l'esperimento sia stato realmente effettuato e che la nave IX97 e l'equipaggio che vi prese parte abbia subito gravissime conseguenze psico-fisiche.
Il documento, inviato al Col. Corso da Bob Beckwith (uno dei primi scienziati che entrò in contatto con Corso successivamente alla pubblicazione del suo libro "Il giorno dopo Rowsell") conferma che la Eldridge non fu la vera protagonista dell'evento, ma afferma anche che nessun "Esperimento Philadelphia" fu mai compiuto. Dov'è la verità?
Fino a che punto è credibile questo documento ufficiale della Marina militare statunitense?
In un'ottica di cover-up, potremmo essere autorizzati a pensare che in realtà le informazioni contenute nel documento siano frutto di un depistaggio, ma, la conferma da parte del Colonnello Corso, personaggio che godeva di un alto grado di attendibilità, rappresenta una garanzia non scritta sugli eventi.
Probabilmente, si è reso necessario il segreto riguardo tutta questa faccenda, anche per coprire uno scandalo che, date le ripercussioni sull'equipaggio dal dragamine IX97, avrebbe sicuramente messo in cattiva luce la Marina militare proprio in un momento in cui serviva avere il consenso popolare (ricordiamo infatti che gli eventi risalgono al 1943 e che la Seconda Guerra Mondiale era in pieno svolgimento) e la scoperta che l'occultamento visivo di un'intera nave da combattimento avrebbe portato gli Stati Uniti definitivamente un gradino più in alto di tutte le altre potenze, permettendo in questo modo non solo di dominare la scena mondiale, ma anche di dettare le regole per futuri sviluppi politici a livello globale.
Dalle notizie in nostro possesso non siamo in grado di dire se gli studi sull'invisibilità siano proseguiti o siano stati interrotti. Probabilmente, il prezzo pagato in termini di vite umane convinse gli scienziati che si occuparono dell'esperimento a riflettere, o forse, l'avvento di nuove tecnologie di invisibilità radar (vedi Stealth), non ha reso necessario lo sviluppo di progetti come quello che nel 1943 causò una tragedia che ancora oggi, a distanza di 56 anni, rimane irrisolta e misteriosa.